Il paradosso della globalizzazione selvaggia, in fondo, si nasconde anche nelle pieghe di un calcio specchio dei tempi. Archiviata l’età dell’oro – quella che appiccicava alla Serie A l’etichetta di “campionato più bello del mondo” – proprio in questo periodo di crisi i club italiani stanno scoprendo il gusto dell’espansione estera. Cioè, dalle vere acquisizioni alla semplici partnership – diverse società hanno deciso che per consolidare le proprie posizioni è opportuno scavalcare le Alpi o attraversare il mare. Tutto sommato, se ci si riflette, una strategia figlia proprio di questi tempi grami, in cui il denaro scarseggia, ci sono bilanci da ripianare e una competitività da tenere alta.
Ovvio che, dietro alle singoli acquisizioni, esistono politiche di tipo diverso. E’ di questi giorni la notizia che Massimo Cellini, presidente del Cagliari, ha acquistato lo storico club inglese del Leeds, nonostante i suoi problemi con la giustizia italiana stiano rallentando un po’ le procedure burocratiche. Nel suo caso, in prospettiva, meglio avere una società potenzialmente ben posizionato nella magnifica Premier League, piuttosto che gestire un club con mille grane (prima fra tutte quella dello stadio di proprietà) e senza grandi prospettive di sviluppo.
Discorso diverso quello dell’Udinese, vero progetto pilota di questo tipo di operazioni. Il club di proprietà della famiglia Pozzo controlla anche il Watford nell’inglese League One e il Granada nella Liga spagnola. Come dire, un presidio nei massimi tornei calcistici europei è il modo più sicuro per gestire l’enorme massa di giocatori sotto contratto e nello stesso tempo per diversificare le fonti di guadagno.
Ma anche le collaborazioni si stanno facendo più serrate. Se la stessa Udinese ha un rapporto stretto con gli sloveni del Koper, fa lo stesso anche il Parma con il Nova Gorica, mentre è di poche settimane fa l’ufficializzazione della relazione tra la Roma e i serbi del Cucaricki, senza contare che il club giallorosso coltiva rapporti anche con i croati del Cibalia Vinkovci. Non basta. Da tempo si dice come la Roma stia cercando un club inglese di League Two per avere una sponda Oltremanica che possa aiutare la caccia e la collocazione dei giovani talenti, ovvero le linee guida date dal presidente statunitense James Pallotta.
Operazioni del genere, d’altronde, non fanno altro che internazionalizzare un fenomeno che in Italia è già presente, sia pure in chiave minore. Basti pensare, ad esempio, alle relazioni strettissime che esistono tra Lazio e Salernitana e quelle, più lente, che esistono fra Inter e Spezia.
Tutto lecito, ovvio, anche se questo frena ancor di più il sogno dell’Associazione Calciatori Italiani, ovvero far nascere seconde squadre sul modello spagnolo di Barcellona e Real Madrid. “Queste operazioni estere non hanno nulla a che fare con la creazioni di squadre B che noi proponiamo e che potrebbero essere utili per lanciare giovani – ha spiegato Damiano Tommasi, presidente del’AIC – ma servono per sistemare giocatori o fare movimenti di bilancio”. A pensarci bene, la maggior parte dei club forse non vorrebbe niente di più e niente di meglio.
Massimo Cecchini is a football writer for La Gazzetta dello Sport